Opel Omega Lotus - Sport motoristici

2022-10-16 01:40:41 By : Ms. River He

Nessuno può più far finta di niente: la BMW M5, a metà anni ‘80, ha creato un precedente imprescindibile; da quel momento si è capito che lo spazio per una berlina molto sportiva esiste su tutti i mercati automobilisticamente evoluti del mondo. I Costruttori più accorti si mettono subito al lavoro, ognuno nell’ambito delle proprie caratteristiche peculiari, per sfruttare questo nuovo filone e la più sollecita è, incredibilmente, la Lancia, con la sua Thema 8.32: inevitabilmente a trazione anteriore, ma molto ben progettata, consente a chi la guida di assaporare in pieno il V8 Ferrari che ha trovato posto sotto al cofano. Poco dopo è la volta della Mercedes-Benz, che opera invece attraverso il trapianto del V8 da cinque litri, riservato fino a quel momento alla classe S, sulla classe E: ne scaturisce un’auto velocissima, forte di 326 CV, ma con un carattere tipicamente Mercedes fatto di comodità, solidità e cambio automatico. In questo quadro, le branche europee della General Motors (Opel in Germania, Vauxhall in Gran Bretagna) non possono restare inerti a guardare cosa fa la concorrenza; forte, la Casa madre, anche di essere proprietaria di uno dei Marchi sportivi per eccellenza: la Lotus.

Quando sono convocati presso la sua sede a Hethel nel Norfolk, Paolo Soffritti e Mario Oetiker, allora titolari delle due Concessionarie italiane prescelte per le vendite dei venti esemplari destinati al no stro mercato (a titolo di cronaca, si tratta della “Nando Soffritti”di Milano e della “Autoimport” di Roma), molto probabilmente sanno già di cosa si parlerà. Molto più difficile per loro, abituati a vendere delle Opel (con tutto il rispetto), è immaginare la caratura tecnica di ciò che si troveranno davanti: già l’aspetto rivela qualcosa di molto speciale, anche se non è difficile riconoscere, sotto sotto, la berlina diesel che frotte di rappresentanti lanciano sulle corsie di sorpasso delle nostre autostrade sul filo dei 160 all’ora, seguite dalla consueta scia di fumo nero dei diesel anni ‘80 spremuti al massimo.

Gli interventi però sono tutti estremamente qualificanti con la sola eccezione, forse, dell’alettone sulla coda che può apparire leggermente “tamarro” pur essendo, per una volta, ampiamente giustificato dalle esigenze di deportanza che velocità vicine ai 300 km/h presentano. Se poi qualcuno ha montato qualcosa di simile anche sulla propria diesel non è certo colpa della Lotus. Di ottimo gusto tutto il resto: appendici aerodinamiche tutto intorno la parte bassa della carrozzeria, sfoghi d’aria sul cofano motore, stemmi Lotus sulle fiancate, doppio terminale di scarico rettangolare, cerchi specifici Ronal da 17” in lega leggera, appositi parafanghi supplementari, enormi prese d’aria anteriori dedicate rispettivamente all’intercooler, quella centrale, e ai radiatori dell’olio, le due laterali. Anche l’abitacolo è correttamente personalizzato e non siamo d’accordo con la stampa inglese che lamentò la presenza di troppa plastica grigia attorno alla plancia, identica a quella della versione di serie: non si poteva fare altrimenti se non si voleva “spallare” con il prezzo, comunque già piuttosto elevato (al debutto la Omega Lotus costa molto oltre il doppio della Omega da cui deriva: 116 milioni di Lire contro 51). I sedili sono sontuosi: contenitivi, rivestiti di pelle nera e dotati di appoggiatesta; qualche inserto in radica qua e là riesce ad elevare il tono generale dell’abitacolo come il rivestimento dei pannelli porta in alcantara grigia, la targhetta numerata dell’esemplare sulla plancia e la scritta Omega Lotus sulle soglie delle porte; graziosamente il tetto apribile elettrico e lo stereo con lettore di cassette sono forniti di serie. Pollice verso invece per la strumentazione che non presenta differenze rispetto alla 2.0 ie (inaccettabile l’assenza del termometro dell’olio e del relativo manometro, assieme a quello del turbo) e anche per il volante troppo simile a quello della Opel Calibra: qualche incongruenza, insomma, ma in un quadro generale più che valido.

Che risalta in pieno sul piano meccanico, dove la GM surclassa gli avversari con un “piatto” ottimamente cucinato; ne illustriamo la ricetta. Si prende una berlina di classe medio alta, tanto per stare in tema con quanto fatto dalla concorrenza, già ottimamente motorizzata (la Opel Omega 3.0i 24V era una vettura già in grado di soddisfare palati finissimi) e, da Rüsselsheim in Germania dove è nata, la si trasferisce via nave presso un atelier che, nella fattispecie, è il già citato quartier generale della Lotus a Hethel, dove per lei è stata allestita una linea ad hoc. Là entrano in azione i chirurghi che cominciano dal motore: la cilindrata sale da tre a 3,6 litri attraverso la sostituzione dell’albero motore con uno irrobustito e dalla corsa maggiore; i pistoni sono sostituiti con dei Mahle raffreddati da getti d’olio; lo spinterogeno è sostituito da tre bobine gestite da un computer EMS (Engine Management System); a lato scarico sono applicati due piccoli turbocompressori Garrett T25, ognuno al servizio di tre cilindri, con l’aria compressa raffreddata da un intercooler davanti al radiatore e a sua volta raffreddato a liquido.

Quelle piccole giranti, dotate ognuna della propria waste-gate, hanno pochissima inerzia e spingono forte già a basso regime, tanto che a 2.000 giri sono disponibili ben 41,5 kgm; la potenza di 377 CV è competitiva con quella espressa dalle più esotiche supercar del periodo, come la Ferrari Testarossa (390 CV), la Maserati Shamal (326 CV), la Porsche 928 GT (330 CV) e la leggendaria prima versione della Chevrolet Corvette ZR1 (383 CV).

Quest’ultima, essendo parente per parte di madre (la GM), ha rischiato di condividere con l’Omega Lotus il suo modernissimo motore V8 a 32 valvole ma, visto che non si riusciva proprio a farlo stare nell’apposito vano, le ha lasciato, come consolazione, il cambio di velocità ZF a sei marce, l’unico disponibile in famiglia in grado di gestire tanta prestazione: è un cambio dalla rapportatura extra lunga che, nonostante la manovrabilità un poco legnosa, ci pare tutto sommato adatto anche alle caratteristiche di questa superberlina. Non sono tanto gli 80 km/h in prima, o i 160 in terza, ad impressionare, quanto i 290 in quinta e i 72 km/h a 1.000 giri in sesta, così che a 130 il motore sussurra a 1.800 giri.

Meno male che, come abbiamo visto, la coppia non manca. Un fatto che aiuta anche, volendo, a cambiare il meno possibile: cosa gradita perché per l’azionamento della frizione da 24 cm di diametro è meglio prevedere un breve ciclo di esercizi in palestra nonostante si sia tentato di addomesticarla con una molla a diaframma che lavora in trazione anziché in compressione; si prosegue nel reparto trasmissione con il relativo albero che è stato suddiviso in tre sezioni, collegate tra loro da giunti omocinetici, con l’ultima che confluisce in un differenziale autobloccante al 40%. Il telaio non è stravolto rispetto a quello della Omega 3.0i 24V, ma soltanto adeguato al quasi raddoppio della potenza da gestire: le modifiche sono concentrate al retrotreno, dove due puntoni collegano la scocca alla struttura in lamiera che sostiene i bracci in modo da meglio guidarli quando si trovano sotto sforzo nelle accelerazioni all’uscita di curva; intervento che porta a un allungamento del passo di 18 mm, che contribuisce alla stabilità in rettilineo alle altissime velocità. I freni, della AP, sono dischi autoventilanti da 330 mm davanti e da 300 mm dietro, assistiti dall’ABS, con quelli anteriori bloccati da pinze a quattro pistoncini; i cerchi e gli pneumatici hanno misure differenziate sui due assi: 8,5x17” calzati 235/45 davanti e 9,5x17” con gomme 265/40 dietro. Per un “mostro” di questo tipo crediamo che un’ampia illustrazione delle sue “viscere” fosse doverosa ma veniamo  adesso a considerare la vettura nel suo complesso: impressionante comunque, diventa stupefacente pensando ai due marchi, tra i più generalisti del mondo, che indossa: Opel per la Omega Lotus e Vauxhall per la versione inglese con guida a destra, la Carlton Lotus.

Ma andiamo a farci un giretto; appena preso posto al volante, anzi era da un po’ che si covava il progetto, ci viene in mente di replicare quello che fece un collega inglese a suo tempo e che colpì molto la nostra fantasia. Nell’imboccare l’autostrada, naturalmente tedesca, cerchiamo di impostare al meglio il raccordo presentandoci sulla corsia di accelerazione in terza marcia e senza scompensi di assetto per poter accelerare a fondo senza scodate imbarazzanti.

Proiettati da forza soprannaturale entriamo così nella corsia di marcia a 160 all’ora a limitatore (circa 6.200 giri) per poi innestare la quarta e raggiungere i 230 in pochi secondi in preda ad euforia incontenibile; passati in quinta la velocità massima di oltre 280 km/h è a portata di mano ma, guidati da pressante istinto di conservazione, non ci pensiamo neanche per un attimo a raggiungerla e innestiamo la sesta per stabilizzarci a velocità di crociera umana (sui 180) mentre un senso di superiorità assoluto prende posto nella nostra anima; il motore, in sottofondo, ronfa a 2.500 giri consumando a questo passo, ci viene detto, circa 16 litri ogni 100 km: niente male. Tornando in Italia per un escursione su stradine secondarie ci rendiamo subito conto che lo spirito di Colin Chapman, nel vedere cosa stava accadendo nella sua fabbrica nel periodo in cui questa belva ha preso corpo, si deve essere benevolmente girato dall’altra parte: in effetti una Lotus da 1.700 kg è un ossimoro e ce ne accorgiamo subito riscontrando quanto impegno esige questo macchinone se appena si vuole passeggiare un po’ più velocemente: lo sterzo, assistito elettronicamente in funzione della velocità, è abbastanza piacevole pur nelle sue lievi indecisioni mentre cambio e frizione ci invitano, confermando quanto accennato, ad essere usati il meno possibile.

Come è noto non siamo particolarmente amanti dei dispositivi elettronici di controllo che si sostituiscono alla sensibilità del pilota ma qui, vista la loro assenza, la concentrazione richiesta per dosare sempre la potenza alle ruote motrici può essere veramente stressante; riteniamo, tra l’altro, che il tempo rilevato dalla stampa, circa 5,5” per lo 0-100, sia molto superiore alle possibilità teoriche di questa auto ma che far meglio sia molto difficile per l’incapacità degli pneumatici di trovare l’aderenza nei primi due rapporti se si invia loro tutta la potenza disponibile (e la manovrabilità del cambio non aiuta). In uscita di curva, poi, il sovrasterzo è sempre in agguato anche con l’asfalto asciutto.

L’unico modo per riuscire a rilassarsi è affidarsi all’enorme tiro del motore che consente, volendo, di marciare con due rapporti in più di quello ideale tenendo così a bada la tigre che abbiamo l’improntitudine di voler cavalcare; comunque una guida da esperti per un’auto senza mezze misure che fa innamorare, come è accaduto a noi, ma anche in grado di scatenare contro di se una campagna di stampa come accadde in Inghilterra, ancor prima di essere consegnata ai primi clienti. In quei giorni, avuta notizia del lancio di questo bolide, il “Daily Mail” fece pressioni presso il Parlamento, affiancato dai vertici della Polizia Stradale britannica, affinché venisse messo fuori legge ad evitare che, in mano a qualche sprovveduto padre di famiglia, potesse provocare una strage di vittime innocenti. Timori certamente eccessivi che non ebbero, per fortuna, esito ma forse è anche per questo che dei millecento esemplari previsti ne vennero in realtà costruiti solo novecentocinquanta fino a tutto il 1993.

Automobilismo.it - Quotidiano di informazione Reg. Trib. di Milano n.394 in data 23.06.2003 Sportcom S.r.l. - PARTITA IVA 00937150159 - EMAIL: info@sport-com.it - Privacy Policy